giovedì 14 gennaio 2010

Oltre ogni dolore

Ho potuto constatare come i cristiani appaiono facilmente come coloro che hanno un’eccessiva attenzione e preoccupazione di fronte alla sofferenza e alla morte.

In realtà, c’è un orizzonte mentale in cui la sofferenza e la morte perdono gran parte del loro scandalo per diventare accadimenti naturali da accettare in quanto tali. E’ l’orizzonte di un pensiero che guarda le cose da un punto di vista astrattamente “universale”, e per il quale perciò l’esperienza dei singoli, ciò che è concretamente particolare, non ha vera rilevanza. La sofferenza e la morte si dissolvono quando, anziché vissute, vengono considerate da un lontano punto di vista generale, nel quale tutto risulta necessariamente compensato e conciliato. Dio non è indifferente alla sofferenza e alla morte delle sue creature, ma per amore si lascia coinvolgere nel destino dell’uomo, fino a rendersi come lui sofferente e mortale.
Si dimentica troppo spesso, a me sembra, che la sofferenza e la morte raggiungono intensità e penosità spaventose, inimmaginabili. Non è il “normale” corso della vita umana che alterna piaceri e dispiaceri, motivi di gioia e motivi di afflizione, fino al suo “naturale” spegnimento nella morte.
L’eccesso del dolore non è definibile né misurabile, non esiste nessun aggettivo e universale principio in base al quale stabilire quando la sofferenza diventa eccessiva.
La croce, coinvolgendo nel dolore e nella morte Dio stesso, è la più abissale rivelazione del nostro orrore. Se una volta insegnavano ad accettare serenamente le sofferenze e la morte come un inevitabile fatto al quale sottomettersi quasi in silenzio, oggi, non si tollera più la sofferenza e ha generato un tipo umano che non può più sostenere il pensiero della morte. La mia convinzione è che in profondità, contro le apparenze, la fede renda meno acuto il senso della sofferenza e della morte. Paradossalmente, lo facciamo nel momento stesso in cui speriamo ad una restituzione della vita, perché proprio facendo questo mantiene aperto il dolore che ci impedisce di chiudere con la rassegnazione .
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